Intorno a una fotografia

Giugno 2019

Abbiamo chiesto ad alcuni intellettuali e artisti la loro opinione intorno a una fotografia che per molti aspetti è rappresentativa di un periodo e di un mondo in profonda trasformazione. La fotografia fu realizzata nel 1968 da Cesare Colombo (Milano 1935-2016) − importante fotografo, studioso e curatore di eventi fotografici − e rappresenta la Torre Galfa, uno tra i grattacieli del Centro Direzionale di Milano edificato tra gli anni ’50 e ’60 nella zona tra la Stazione Centrale e la Stazione Garibaldi. Dopo anni di abbandono la Torre Galfa è attualmente in fase di ristrutturazione e tornerà a reinserirsi con una nuova pelle nello skyline della zona, così profondamente modificata negli anni più recenti dai numerosi interventi architettonici e urbanistici della zona Garibaldi-Porta Nuova.
I diversi punti di vista degli operatori che abbiamo interpellato forniscono un quadro variegato e interessante delle diverse interpretazioni cui può dare adito una fotografia così fortemente caratterizzata.

Tra i vari interventi – di Matteo Cirenei, Francesco Faeta, Gaetano Liguori, Gianfranco Manfredi, Alberto Patrucco e Marco Pozzi – della rubrica “Intorno a una fotografia” presenti nel numero 1 di FC•FOTOGRAFIA E[È] CULTURA pubblichiamo quello dell’antropologo e saggista Prof. Francesco Faeta.

 

Questa fotografia, eseguita nel 1968, raffigura la verticale quinta trasparente del grattacielo Galfa, a Milano, a tarda sera, ancora colma di presenze, di vita lavorativa, di industre operosità. È un'immagine emblematica, ed è stata in effetti spesso usata per dire sinteticamente il lavoro del fotografo, o per lo meno, una sua parte importante, quella legata alla rappresentazione del "mito" industriale e modernista dell'Italia dei secondi anni Sessanta. È, in effetti, una fotografia assai importante, anche dal punto di vista delle scienze sociali, perché illustra una realtà divenuta dominante, sovente oscurata, però, dalle ricorrenti spinte ruraliste e arcaiste che ancora permanevano nella fotografia d'argomento sociale dell'epoca. Colombo, che sapeva illustrare i mondi rurali con sguardo acuto e partecipe, niente affatto nostalgico, aveva ben compreso, da quell'osservatorio privilegiato qual era Milano, quanto il Paese fosse cambiato, dove fosse e dove stesse avviandosi. Ma, alla complessa e penetrante descrizione della società nazionale all'apice del suo momento di sviluppo e di modernizzazione, Colombo sapeva affiancare una descrizione dello spazio urbano, segnatamente di quello della sua Milano (un amore fotografico che condivideva fraternamente con Toni Nicolini, sodale e amico), affabile, sorpresa, felicemente malinconica, se posso consentirmi una locuzione quasi ossimorica. Così la descrizione densa del confine industriale e terziario verso cui l'Italia si era con decisione diretta, si accompagna a una decisa percezione del carattere civile della vita urbana. Lo ricordo personalmente Colombo, in una nostra cena comune sui Navigli in compagnia di Nicolini, e nell'ambito dei primi anni fondativi della Società Italiana per lo Studio della Fotografia, che abbiamo condiviso, come un uomo d'impegno civile ruvido e appassionato in possesso di un'umilissima e intelligente capacità di meravigliarsi. La fotografia del Sessantotto qui presente mi sembra dica effettivamente molte cose di lui.

Cesare Colombo, Grattacielo Galfa, Milano, 1968. Courtesy di archivio Cesare Colombo.