La memoria è infinita? Archivi e fotografia nell’era digitale

Ordinare e classificare il caos che ci circonda è all’origine della conoscenza del mondo. Ma l’archivio è anche gestione della memoria e di conseguenza uno strumento del potere. Da Platone agli Illuministi la sistemazione del sapere si è evoluta, dall’ordine divino del cosmo alla razionalità laica e democratica. Fino alla rivoluzione digitale che ha sconvolto l’archiviazione dei dati. E oggi la parola d’ordine del sistema conoscitivo è condivisione.
È una umana e implacabile curiosità quella che spinge a conoscere la destinazione delle cose: così una leggenda irlandese ci svela che l’arcobaleno termina in una pentola d’oro. E Il giovane Holden del romanzo di Salinger si chiede ossessivamente dove vadano d’inverno le anatre del Central Park. Ma dove finiscono le fotografie? Nei musei, nelle collezioni, negli archivi, nei depositi dei giornali, nei cassetti delle case, nelle discariche, negli hard disk dei server? Oggi che il digitale ha smaterializzato le immagini e ne ha assolto le esigenze cartacee, la domanda sembrerebbe avere significati diversi. Tuttavia anche i server occupano spazio, e ne sa qualcosa la società di Zuckerberg, grande guru di Facebook, che, quando nel 2013 ha acquisito Instagram, ha dovuto per prima cosa risolvere il problema di dove stivare, letteralmente, miliardi e miliardi di files, e di come conservarli e renderli fruibili pe la loro condivisione. Condivido, quindi esisto, suggerirebbe oggi l’ennesima declinazione del detto cartesiano.
Share è infatti la parola d’ordine della cultura digitale. I social network e internet smistano milioni di immagini al giorno, e conservare dunque non è più sufficiente: oggi è fondamentale rendere disponibile un immenso numero di files iconici in tempo reale, ma l’accesso ubiquo e contemporaneo di questa massa infinita di dati richiede soluzioni innovative e inimmaginabili fino a pochi decenni fa.
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